La mia esperienza come insegnante di musica in Cambogia

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Quando sono arrivata per la prima volta in Cambogia nel Marzo del 2013 mi sono subito scontrata con una cultura e civiltà completamente estranea e sconosciuta. Non riuscivo a comprendere quasi niente del loro modo di pensare, di vedere la vita, dei loro gesti quotidiani. Ho esplorato il paese, ne ho studiato la sua storia, ho guardato negli occhi le persone. Così piano piano ne ho capito la diversità, le gioie, le paure.

E così ho fatto anche con i miei studenti.

Ho trovato bambini sommersi di regole, rigide e obsolete. Gli occhi un po’ spaesati e molto confusi su come ordinare le idee e il mondo circostante. La cosa più evidente in alcuni di loro era la mancanza di affetto. Questi bambini sono abituati a stare con famiglie come potevano essere le nostre famiglie degli anni 50. Famiglie povere o ricche presentavano i loro ostacoli e si ripercuotevano sui bimbi.

Quindi incontrare me, per i miei bambini è stato come incontrare una persona diversa, attenta alle loro esigenze.

Per me è stato un duro lavoro, seguito da una grande soddisfazione e felicità nel vederli progredire.

Ho rivisto in loro la generazione dei miei genitori. Ai quei tempi si credeva che i beni materiali fossero la miglior cosa da offrire ai bambini e dove il metodo alla Montessori era un eccezione.

Con i bambini cambogiani non puoi dare niente per scontato o pensare che arrivino a capire attraverso l’intuizione. Dovevo suggerire loro tutto, perché all’ interno della società, la cultura storico musicale era pressoché azzerata.

Talvolta, quando pensavo di aver fatto degli ottimi progressi, c’erano dei momenti in cui venivano a lezione e mi accorgevo  che si erano scordati quasi il 40% dei progressi fatti. Era come ripartire da capo. Mi ricordo la prima volta, ero veramente molto scoraggiata.

Poi con il tempo ho capito: la pigrizia e lo spirito di voler scherzare e non pensare ai problemi o alle cose che li affaticano, li porta spesso ad abbandonarsi al non pensare ne concentrarsi. Non dobbiamo dimenticare che questi bambini sono i figli della generazione che era bambina durante il regime di Pol Pot. I loro genitori non hanno avuto punti di riferimento o qualcuno che li spronasse a migliorarsi. Erano un po’ come i bimbi sperduti dell’ isola che non c’é di Peter Pan. Si sono ritrovati in un anno 0 ad uscire dalla giungla senza sapere nulla del mondo.

Ad ogni modo, posso affermare che sono stati bravissimi a progredire nel tempo.

Il loro risultati sono stati soddisfacenti e sopra le aspettative. È solo una questione di educazione alla vita. I bambini hanno già le potenzialità dentro di loro. Il compito dell’insegante è di aiutarli a tirar fuori le loro potenzialità.

Inutile dire che in questa commistione con loro, ne sono riuscita arricchita anche io. I bambini sanno dare molto. Una volta dato a loro i mezzi per scoprire se stessi e il mondo, ti sorpassano ad una velocità supersonica. Sono sempre stata felicissima quando vedevo che si entusiasmavano per un nuovo pezzo musicale o che erano orgogliosi di rispondere alle domande, o quando erano felici di esprimere ciò che pensavano.

Ho fatto tanta fatica, ma ho ottenuto risultati e adesso che so che fra qualche tempo verrò via dalla Cambogia, mi dispiace molto. Perchè loro hanno fatto parte della mia crescità personale, mi hanno aiutato tantissimo. Rimarranno sempre nel mio cuore, come spero di rimanere nel loro.

Voglio raccontare un aneddoto che a me ha fatto sorridere molto. Un giorno, in una delle mie lezioni, ho chiesto ad una mia allieva bambina , cosa avrebbe voluto fare da grande. Lei mi rispose che avrebbe voluto fare la dentista. Io allora ho risposto che l’avrei chiamata per farmi curare i denti. Lei con candida innocenza ha risposto che forse in un primo momento non mi avrebbe riconosciuto, perchè sarei stata vecchia e con i capelli grigi, ma che poi si sarebbe ricordata di quando faceva lezione con la maestra Arianna e quanto era bello imparare il pianoforte insieme a lei.

 

 

 

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